Andare per l'Italia araba by Alessandro Vanoli

Andare per l'Italia araba by Alessandro Vanoli

autore:Alessandro, Vanoli [Vanoli, Alessandro]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Storia, Ritrovare l'Italia
ISBN: 9788815320889
editore: Societa editrice il Mulino Spa
pubblicato: 2014-10-14T22:00:00+00:00


7. Venezia, Campo dei Mori.

Per secoli i mercanti veneziani scambiarono merci e beni di lusso con l’Oriente. Per secoli essi si spinsero sempre più lontano alla ricerca di nuove piazze e nuovi mercati. E per secoli, com’è logico, anche l’Oriente giunse a Venezia: giunsero le merci e giunsero gli uomini. E tutto questo Oriente si insinuò e cristallizzò nella città: tra le calli, nei decori delle case, nei palazzi e talvolta persino nelle chiese. È una specie di caleidoscopio che si riflette ovunque, a maggior ragione nello splendore delle facciate patrizie sul Canal Grande. E lì si trova in particolare un edificio che val la pena di notare. Oggi è il Museo di storia naturale, ma è un palazzo – come molti sul Canal Grande – ben più antico: risale agli inizi del XIII secolo, ma ciò che più conta per noi è che nel 1621 la Repubblica lo destinò ai turchi presenti in città come sede commerciale, come fondaco. Anche la parola stessa, fondaco, veniva dall’arabo, funduq , dove indicava la stessa cosa: un caravanserraglio fatto per ospitare uomini e merci. Il primo fondaco per i mercanti turchi era stato istituito intorno al 1575 in uno stabile in contrada di San Matteo di Rialto conosciuto come «Osteria all’Angelo». Zona vicinissima a Rialto e per giunta piena di osterie e taverne che alloggiavano stranieri a poco prezzo. Ci vollero cinquant’anni e non pochi progetti perché l’11 marzo 1621 il senato decretasse come nuovo Fondaco dei Turchi l’antico palazzo Palmieri da Pesaro; quello appunto sul Canal Grande. L’edificio fu preparato con cura: vennero create una cinquantina di stanze, ciascuna con camino e con tavolati per il riposo, che potevano accogliere da tre a sei persone: in totale gli ospiti sarebbero potuti essere circa trecento. I mercanti erano suddivisi in base ai gruppi di appartenenza: turchi «bossinesi e albanesi», i più numerosi, e quelli «asiatici e costantinopolitani», cioè coloro che venivano dall’Asia e in particolare da Costantinopoli, specializzati nel commercio di «zambe lotti e mocaiarri», cioè stoffe di pelo di cammello e di lana mohair. Il fondaco veniva chiuso a chiave durante la notte e donne e ragazzi cristiani non vi erano ammessi. L’idea era quella di ricreare un’enclave d’Oriente. Quindi non solo stanze o magazzini, ma anche la stufa, cioè il bagno, «che è molto necessario et sarà grato a questa nazione», latrine «a loro usanza», pozzi «opulenti» d’acqua e un edifico, insomma, continuamente tenuto «mondo e netto, come sogliono fare in Levante quelli che hanno il cargo delli fonteghi».

A quei tempi, passando dal canale li si poteva veder sbirciare dalle finestre e dai terrazzi. Ma non era certo una prigione quella, e dunque di turchi dovevano vedersene parecchi anche per mercati, calli e campi. Se ne volete una prova visiva guardate qualche opera di Vittore Carpaccio, come, ad esempio, il Battesimo dei seleniti (1507), che si trova alla scuola di San Giorgio degli Schiavoni: un trionfo di turbanti e vesti ottomane tanto maschili quanto femminili. Oppure pensate ad alcuni quadri



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